04 gennaio 2006

Un pilato come Presidente

"un partigiano come Presidente" cantava l'italiano vero Cutugno. Certamente tale appellativo non rischia di essere appiccicato addosso all'attuale Presidente della Repubblica Italiana, il livornese Carlo Azelio Ciampi, che dribbla qualsiasi presa di posizione e che passerà alla storia più che altro per l'ostinata difesa dell'Inno Nazionale, e per qualche giudizio della moglie sul livello dei programmi televisivi.

Non so se Ciampi sarà ricordato come uno dei peggiori presidenti mai avuti in Italiaa. Certo è che durante i 5 anni passati in compagnia di Berlusconi come capo del governo sono state approvate leggi raccappriccianti. Solo per citare le prime che mi vengono in mente:
  • la riforma Gasparri del sistema televisivo consegnato su un piatto d'argento al piazzista di Arcore;
  • la depenalizzazione del falso in bilancio (chi ruba miliardi di euro non rischia neanche un giorno di carcere);
  • la legge Urbani sul diritto d'autore (chi scambia canzonette rischia sino a 4 anni di carcere);
  • il condono per chi aveva esportato illegalmente capitali all'estero;
  • la riforma demenziale della stessa Carta Costituzionale;
  • la legge elettorale cambiata poche settimane prima delle elezioni da un governo ormai minoritario nel paese;
  • la riforma della Magistratura fatta principalmente per penalizzare l'unico potere non del tutto asservito al governo;
  • decine di leggi ad-personam, confezionate esclusivamente per gli interessi del PresDelCons e dei suoi amici;
  • ...
E cosa ha fatto il nostro buon uomo di fronte a questo scempio? E' ricorso alla moral suasion, cioè a prediche più o meno vuote rivolte ad un parlamento infarcito di pregiudicati, inquisiti e faccendieri vari che sicuramente hanno tenuto in alta considerazione le nobili esortazioni del Presidente.

La missione principale, se non unica, di un Presidente della Repubblica Italiana è quella di difenderne la Costituzione. Ed in questi giorni abbiamo avuto una lampante dimostrazione di come il presidente Ciampi sta svolgendo questa missione. L'art. 11 della Costituzione recita testualmente: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Parole limpide e chiare, che tutti comprendono. Nessuno infatti ha capito come abbia fatto Ciampi ad autorizzare l'intervento militare italiano in Iraq.

Ma, grazie ad una dichiarazione del buon uomo riportata dall'Ansa, finalmente il mistero è svelato: "Noi siamo andati in Iraq, quando la guerra guerreggiata era finita". Capito? Il nostro strenuo difensore della Costituzione Italiana fa sue le tesi dell'aggressore Bush che aveva dichiarata finita la guerra a Marzo 2003, esibendosi in una smagliante discesa da un elecottero militare e sfoggiando una portentosa tuta ultimo grido. Poco importa che da quando è finita la guerra guerreggiata, le truppe iraqene hanno iniziato a farla veramente la guerra, che i morti nei combattimenti si sono decuplicati, che sono state usate armi chimiche per tentare di piegare la resistenza iraqena, che gli stessi americani abbiano dichiarato che la guerra non era affatto finita in quel marzo 2003.

Ed invece no, per Ciampi la guerra era finita nel marzo 2003. Così il nostro ineffabile presidente può dichiarare che l'Italia formalmente non ha usato la guerra come mezzo di offesa. La Costituzione è salva. Beh, magari proprio la Costituzione no, ma la forma sì! Ma non è finita qui. Ciampi ha subito risposto al messaggio di Papa Benedetto XVI promettendo un impegno comune per il raggiungimento della pace. Probabilmente quella eterna.

Questo è l'uomo che è stato messo a difesa della Costituzione. Ah, nel suo messaggio di fine anno un'altra perla: "Ho sempre affermato la lacità dello stato". E mentre lui l'affermava, la Chiesa ha esercitato un'invadenza che non la si vedeva dai tempi dei papa re: ha fatto fallire il referendum sulla fecondazione assistita, sta attaccando conquiste basilari della società civile quali la legge sull'aborto, sono stati immessi in ruolo migliaia e migliaia di insegnanti di religione cattolica pagati con i soldi di tutti (anche dei non credenti) ed è stata esonerata dal pagamento dell'ICI.

C'è da soprendersi che l'attuale maggioranza abbia proposto di fargli fare il Presidente per altri 7 anni?

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Al di là del commento di Pino (che temo abbia frainteso il senso dello
sfogo di Chartitalia)... sono solo in parte d'accordo con la posizione
assunta dallo stesso Chartitalia.

Indubbiamente, Ciampi è un "presidente bollito", che blatera a vanvera di
tricolore, di laicità dello stato e di pace. E fin qui mi trovo d'accordo
nella sostanza con l'articolo.

Dove, al contrario, non ritengo di poter sposare la linea dell'editorialista
(si licet) è nell'addebitargli le "malefatte" che gli vengono imputate.

Chiunque abbia, infatti, dimestichezza con qualche manuale di diritto
costituzionale italiano, sa che il presidente della Repubblica non ha molti
poteri propri da spendere.

Ad esempio, non è certo il presidente della Repubblica a poter decidere se
muovere guerra ad altri stati o meno: egli si limita a dichiarare "lo stato
di guerra deliberato dalle Camere" (art. 87 Cost.). Sicché, allorquando le
Camere (a norma dell'art. 78 Cost.) deliberano lo stato di guerra, esse
conferiscono al Governo i poteri necessari e, a quel punto, la dichiarazione
di guerra da parte del presidente della Repubblica è un atto dovuto. Anzi, è
un atto che non si qualifica neppure come propriamente presidenziale, visto
che la responsabilità dello stesso viene interamente assunta dal ministro
degli esteri (e, forse, dal presidente del Consiglio dei ministri), che appone la
cosiddetta "controfirma" (cfr. art. 89 Cost.). La previsione della
dichiarazione di guerra da parte del presidente della Repubblica - che,
tuttavia, non ne ha la paternità (nè la responsabilità) politica - è imposta
dalle antiche regole del diritto internazionale di guerra (codificato
qualche secolo fa da un olandese - tale Grotius - in un trattatello niente
male: de iure belli ac pacis). Insomma l'atto del presidente è una mera formalità.

Gli atti propriamente presidenziali (cioè quelli che implicano la spendita
di poteri propri del presidente e non di poteri ministeriali o di mera
rappresentanza) sono altri. In particolare il potere (consuetudinario,
giacché non previsto espressamente dalla Costituzione) di parlare alla
Nazione, il potere di nominare cinque senatori a vita, il potere di grazia e, last but not least, il potere di rifiutare la promulgazione di
leggi deliberate dalle Camere, rinviandone il testo alle stesse con un
messaggio motivato. Ed è qui che occorre muovere - se occorre - una motivata
critica al presidente Ciampi.

Personalmente, trovo che Ciampi abbia speso male il suo potere di rivolgersi alla Nazione (soprattutto nei tradizionali discorsi di fine anno e di inizio anno scolastico). L'attuale inquilino del Quirinale - e, con lui, lo staff presidenziale - non ha alcun appeal e pare allergico a qualsiasi forma di comunicazione realmente efficace. Ben altra cosa (nel bene e nel male) sono stati i presidenti Pertini, Cossiga e Scalfaro, capaci di muoversi nei contesti più svariati al di fuori delle forme codificate e paludate della comunicazione istituzionale e proprio per questo vicini al Volksgeist nazionale. In altre parole, Ciampi pare non saper parlare se non nel linguaggio codificato ed allusivo della politica, in un codice, cioè, impenetrabile ai più. Le sue parole sono anche condivisibili... ma debbono essere preliminarmente decodificate.

Si potrà dire che tale aspetto non è importante, visto che i messaggi alla nazione non hanno alcun effetto politico rilevante. Ma, a mio sommesso parere, una tale obiezione prova troppo, giacché si dimentica che la Nazione è il Popolo e che il Popolo è composto da... elettori. Riuscire a smuovere la coscienza dell'elettore su temi caldi come il conflitto di interessi (che pare passato in secondo piano e che, al contrario, è un problema enorme per il corretto funzionamento di ogni paese che voglia dirsi democratico), la laicità dello stato, la libertà di espressione delle opinioni (e connessa libertà di ricerca e di insegnamento), avrebbe avuto un peso rilevante. La maggioranza, già in deficit di popolarità, avrebbe dovuto fare i conti non con la "pubblica opinione" rappresentata dal solito cenacolo di giornalisti ed intellettuali (sia di sinistra, sia di destra) sistematicamente oscurati dal sistema televisivo; avrebbe dovuto fare i conti con l'opinione popolare. Chi si ricorda Sandro Pertini allorchè, all'indomani del terremoto in Irpinia, visibilmente alterato, chiedeva ragione e contezza dei fondi stanziati per non ricordo quale altra catastrofe? Pertini lanciò un j'accuse tremendo all'intera classe dirigente dell'epoca che rimbalzò da una televisione all'altra, suscitando viva indignazione nel Paese reale.

E passiamo al potere di nomina dei senatori a vita. Ciampi ha nominato Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Giorgio Napolitano e Sergio Pininfarina. Ora, con tutto il rispetto, almeno due delle quattro nomine io non le comprendo, giacché si tratta di persone, pur rispettabilissime, che non mi risulta abbiano "illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario" (art. 59 Cost.). Ed alludo, fuor di metafora, alle figure - politicamente eminenti - di Giorgio Napolitano ed Emilio Colombo. Che senso ha nominare sentatori a vita due politici navigatissimi come questi? Mi si potrà obiettare che anche Andreotti fu nominato sentatore a vita da Cossiga. L'argomento, tuttavia, non ne risulterebbe scalfito, poichè ciò che ha fatto Cossiga non è detto che fosse ben fatto. E poi in quel caso ritengo che vi fosse un sottilissimo calcolo politico - liberare le decine di migliaia di voti monopolizzati da Andreotti ed "impagliare" politicamente il "divo Giulio" - da parte del Picconatore.

Anche il potere di grazia è stato negletto dal buon Ciampi, il quale è stato al centro dell'affaire Sofri per l'intero corso del suo mandato, facendo mille dichiarazioni senza dar mai corso a condotte concrete (a meno che non si voglia considerare concreto il balletto con lo pseudo-ministro della giustizia). Un simile, continuo tentennamento - sempre a mio modestissimo avviso - indebolisce l'istituzione della presidenza della Repubblica e non dà a chi in quel momento la incarna l'autorevolezza necessaria per rivolgersi al popolo (si veda quanto già detto sui discorsi alla Nazione); e gliene dà ancor meno per rivolgersi alle altre istituzioni (e si veda quanto dirò tra breve).

Quanto, infine, al potere di rifiutare motivatamente la promulgazione di una legge già deliberata dalle Camere. Questo potere, in effetti, è l'unico che Ciampi abbia esercitato, sia in occasione della legge Gasparri, sia in occasione della riforma dell'Ordinamento giudiziario. Avrebbe potuto far meglio? Certo che avrebbe potuto! Ad esempio, avrebbe sicuramente fatto un figurone - acquistando mille punti in termini di immagine ed autorevolezza - rifiutando la promulgazione della legge che sottraeva alla giustizia penale le cinque più alte cariche dello Stato (cosiddetto lodo Maccanico-Schifani), che poi è stata dichiarata (giustamente e prevedibilmente) incostituzionale dalla Consulta.

Resta da fare solo un'ultima conosiderazione: nella società dell'immagine, Ciampi è la persona sbagliata al posto sbagliato. La sua immagine è quella del vecchio nonno buono, sì, ma imbischerito dall'arteriosclerosi e succubo di una moglie che - pur non brillando per cultura, intelligenza e ...tatto (si vedano le ultime, sconclusionate dichiarazioni sui meridionali!) - appare sicuramente meno rimbambita di lui.

chartitalia ha detto...

Caro Pino,
grazie per i tuoi apprezzamenti.
Sul Centrosinistra devo dire che non so quali sono i loro programmi sulle tematiche di proprietà intellettuale, anche perchè tali programmi sono in via di definizione.
C'è solo da dire che alla stesura di tale programma il Centrosinistra sta sollecitando contributi dalla società civile cui tutti possono partecipare, anche tramite comitati e gruppi di interesse (vedi al riguardo: www.romanoprodi.it. Avevo una mezza idea di crearne uno: se sei interessato a tali tematiche contattami in privato che mandiamo avanti la cosa.
Noi comunque non portiamo avanti una posizione partitica e siamo altrettanto critici anche con componenti del centrosinistra che hanno delle posizioni forcaiole sulle questioni del copyright, quali la Margherita, ad esempio. Mentre ci sentiamo molto vicini alle posizioni dei Verdi al riguardo, ed in particolare di quelle portate avanti da Fiorello Cortiana (http://web.fiorellocortiana.it/html/).
Anzi, stavo pensando di dedicare un paio di articoli giusto sulle miopie della sinistra sulle questioni delle proprietà intellettuali.

chartitalia ha detto...

Caro Gianluca,
lungi da me dal confutare le tue argomentazioni giuridiche: sai che, al riguardo, mi rimetto completamente alle tue valutazioni.
Ma, nonostante la mia solita rozzezza, mi sembra che lo spirito di fondo dell'articolo ti sia arrivato completamente: l'inadeguatezza storica di questo presidente che sfiora l'ignavia.
Ah, vedo che hai utilizzato termini non propriamente teneri con il nostro nonnetto. Sbaglio ma una volta non era reato anche il solo criticare il Presidente della Repubblica? E' stata abolita tale norma medievale o è caduta in disuso?

Anonimo ha detto...

Non vorrei essere tacciato d'essere a mia volta un Pilato, ma non entro nel merito politico dell'articolo. Non discuto cioè delle critiche mosse all'operato del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. Ognuno può e deve avere l'idea che meglio crede.
Ciò che desidero stigmatizzare è una grave inesattezza giuridica in esso contenuta, che viene ripetuta, spesso in malafede, dalla sinistra ad ogni piè sospinto. Mi riferisco alla presunta depenalizzazione del falso in bilancio. Lo dico in modo chiaro, così che non ci siano dubbî: che il falso in bilancio sia depenalizzato (ovvero: non costituisca più reato) è assolutamente FALSO. È una MENZOGNA inventata dalla sinistra.
Il reato di falso in bilancio ('rectius': di "false comunicazioni sociali") è tuttora previsto e punito dagli articoli 2621 e 2622 del codice civile. Controlli pure chi non mi crede. Ciò che è stata modificata è la struttura della norma, in armonia ad una direttiva europea e peraltro secondo un progetto iniziato già ai tempi della sinistra (ossia nel 2000), che definisce meglio la condotta. Senza voler tediare con un discorso troppo tencico, ora il falso in bilancio è previsto in due distinte modalità (senza e con danno ai creditori), diversamente sanzionate. Ciò che può essere condiviso o meno, ed è stato oggetto di critiche, è il fatto che l'ipotesi _semplice_ (cioè quella senza danno ai creditori) è ora reato contravvenzionale, con una prescrizione più breve rispetto a quella in vigore precedentemente. Ma sul punto sia la Cassazione, che la Corte Costituzionale, che la Corte di Giustizia Europea si sono pronunciate nel senso della conformità e proporzionalità della norma.
Ad ogni modo, condivisibile o meno che sia tale scelta ed il giudizio dei giudici che sopra ho indicato, resta il fatto che NON È VERO, ed anzi è assolutamente FALSO che il "falso in bilancio" sia stato depenalizzato, e che chi lo commette non rischî più nemmeno un giorno di galera.
Stefano.

Anonimo ha detto...

Caro Stefano,
quel che dici risponde al vero (compreso il fatto che la riforma del diritto societario era stata avviata dalla sinistra... sicché non è un merito che questo governo può attribuirsi, come invece fa). Però, vivaddio, anche tu cosa ti metti a dire! :-)

Resta il fatto che, per il non giurista (qual è Chartitialia), derubricare un reato da delitto a contravvenzione equivale, in un certo qual senso, a depenalizzarlo. Il giurista sa che non è così.

Quanto al "discorso" politico, esso è volutamente semplificato. Per questo i politici di sinistra - che (come anche quelli di destra) non sempre sanno esattamente ciò che fanno o che dicono - parlano di depenalizzazione: rende meglio l'idea ed è comprensibile a tutti.

Quanto al fatto che per il falso in bilancio "semplice" si possa andare in carcere - come tu sostieni - lasciati dire che sei ottimista (oppure pessimista... a seconda delle prospettive). Con una prescrizione di tre anni - la cui durata massima arriverebbe a quattro anni e sei mesi, in caso di tempestiva interruzione - non si fa in tempo neppure ad aprire il dibattimento processuale! E questo grazie ai "tempi rapidi" della giustizia, annosa piaga brillantemente irrisolta dalle riforme varate da una e dall'altra parte politica (non è qualunquismo... se volete, con calma, se ne può parlare dettagliatamente).

Infine, tanto per entrare nel merito delle questioni, valga per tutti il raffronto con il più grande ordinamento capitalistico del mondo: gli USA. Gli americani dopo il caso Enron hanno inasprito le sanzioni per i falsificatori di bilanci; in Italia dopo Supergemina (chi non ricorda... vada a ripassare), la scalata Telecom da parte di Colaninno e la sua cessione alla Pirelli, i casi Cirio e Parmalat, etc. etc., le sanzioni per gli imbroglioni vengono attenuate!

La soluzione adottata ha gravi ripercussioni in termini di credibilità del sistema-Italia e, dunque, assume riflessi di psicologia sociale non indifferenti. L'investitore straniero indirizzerà i suoi capitali verso altri paesi che (apparentemente) mostreranno di garantire di più la sua posizione; il risparmiatore italiano - che da poco tempo (anche grazie al processo di privatizzazione interrottosi con il governo Berlusconi) aveva iniziato a dirottare i suoi risparmi dai BOT alle azioni ed alle obbligazioni - è restio ad investire il suo denaro in titoli azionari o obbligazionari. L'effetto finale è triplice:
a) la depressione dell'economia industriale - che ha il fine di produrre beni e servizi (aumentando la ricchezza della nazione) - (anche) per mancanza di capitali;
b) la esaltazione dell'economia finanziaria - che ha il fine di moltiplicare la ricchezza del finanziere senza produrre alcunché (a vantaggio della nazione) - su cui i nuovi tycoon si gettano con molta avidità e con pochissimi scrupoli;
c) l'innalzamento vertiginoso dei prezzi dei "beni-rifugio" - gli immobili - con un ripiegamento verso l'economia (di stagnazione industriale) della rendita fondiaria e con lo sgradevole corollario del conflitto generazionale (i giovani, precarizzati per legge, non hanno soldi per comprare casa e non possono ottenere buoni finanziamenti bancari).

Bene, il falso in bilancio è esattamente come dici tu dal punto di vista giuridico-formale... ma è sostanzialmente una licenza ad imbrogliare!

...e ho detto tutto (e ben altro ci sarebbe da aggiungere).

Gianluca

Anonimo ha detto...

Caro Gianluca,
vedo, anzi leggo con piacere il Tuo commento, di cui condivido quasi ogni parola.
Se permetti, trovo scorretto in ogni caso parlare di "depenalizzazione". È vero che si tratta di semplificazione, ma il popolo non è così "bue" come si crede, e molto spesso sa comprendere tali sottigliezze.
Infatti, allo stesso modo per cui mi inalbero quando la sinistra parla di "depenalizzazione" a fronte di una mera modifica del trattamento sanzionatorio, così mi inalbero quando leggo su giornali vicini a Berlusconi che lo stesso è stato *assolto* nei processi di falso in bilancio nei quali in realtà è stato semplicemente prosciolto per intervenuta prescrizione.
E mi inalbero perché non è vero che la gente non sa capire la differenza tra assoluzione e prescrizione: la sa eccome. Eppure, con il pretesto della semplificazione per far capire al popolo ignorante (che poi così ignorante non è), alcuni giornali contrabbandano un'assoluzione a fronte di una mera prescrizione. Come a dire: povero Berlusconi, per l'ennesima volta vittima dei magistrati che si accaniscono contro di lui.
Allo stesso modo, non trovo corretto sostenere - come ha fatto ad es. Beppe Grillo - che ora la stesura dei bilanci è come un esercizio di "scrittura creativa": il falso in bilancio è sempre un illecito, che comporta responsabilità civili e penali!
E se è verissimo quel che dici circa la difficoltà di portare a compimento prima della prescrizione un processo per un reato complesso come il falso in bilancio (anche se quando si tratta di accelerare i processi, avvengono parecchie magie da parte delle procure...), è anche vero che ora come ora, è pressoché difficilissimo inquadrare una condotta come falso in bilancio "semplice": è sempre contestata l'ipotesi con danno ai creditori, che è un delitto e prevede una pena fino a 5 anni di reclusione.
Comunque, e per chiudere l'argomento, ho inteso puntualizzare proprio perché se c'è una parte politica da cui mi aspetterei correttezza e soprattutto completezza nell'informazione, senza rifugiarsi in spesso comode semplificazioni, è la sinistra. E quando vedo che ci casca, rimango parecchio deluso.
Stefano

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